mercoledì 9 settembre 2009

RECENSIONI LIBRARIE: Piccolo catechismo del soldato

Se è vero che, storicamente, fenomeni come la leva obbligatoria di massa e certo nazionalismo bellicista sono legati alla modernità nella sua versione laica e giacobina, è pure indubbio che la Chiesa cattolica non ha atteso la Rivoluzione francese o la nascita degli Stati nazionali per sostenere e promuovere la vita militare ed apprezzare il sano amor di Patria. Si pensi ad esempio al Vangelo e agli uomini d’armi incontrati ed elogiati da Gesù, il quale mai intimò loro di “cambiar mestiere” per diventare suoi discepoli… Gesù stesso infatti non era venuto a portare la pace (come la intende il mondo: assenza di conflitti armati per meglio godersi la vita) ma la spada (cioè la lotta contro i propri difetti e per la difesa del Vangelo a costo del sacrificio e della morte).

Si ricordi inoltre che nei primi secoli, al di qua della svolta costantiniana del 313, furono gli eretici e non i Padri della Chiesa ad essere contrari ad ogni uso della forza e alla carriera militare. Nel medioevo cristiano poi, quando «la filosofia del Vangelo governava gli Stati» (Leone XIII) fiorirono la cavalleria e il feudalesimo e nacquero appositi ordini religiosi, di taglio militare, per molteplici scopi di carità sociale e di protezione, i quali ebbero sempre il sostegno dei Papi, dei Concili e dei Vescovi. Che il pacifismo, contemporaneo o antico, fu sempre considerato una dottrina irragionevole e contraria al dogma cattolico appare evidente e, per prenderne atto, basta leggere l’omonima voce nella insuperata Enciclopedia Cattolica, opera impareggiabile di dotti e specialisti, voluta, sostenuta e approvata da Pio XII. Se ancora il “Catechismo della Chiesa cattolica” promulgato in versione definitiva da Giovanni Paolo II nel 1997 ricorda ai nn. 2309 e ss. i criteri e le nozioni della guerra giusta, della legittima difesa con la forza militare e del servizio della patria nella vita militare (quale agente del bene comune e della pace), non si può non lamentare un decadimento generalizzato in ambito cattolico nell’apprezzamento delle “virtù militari” e dell’eroismo del soldato, concetti tante volte celebrati in memorabili discorsi di Pio XI e Pio XII.

La lista dei santi militari è davvero lunga, come ricorda Rino Cammilleri in un suo bel testo, e quello che manca di più nel contesto dell’aggiornamento post-conciliare è la visione agonistica della vita quale combattimento, lotta, gara, “guerra santa”, visione però assai presente nella cristianità: sia nella patristica (si pensi alle due città in permanente conflitto di sant’Agostino), sia nella teologia medioevale (cfr. un san Francesco che si voleva cavaliere e araldo del Gran Re o santa Caterina da Siena che sviluppa nelle sue lettere una vera e propria teologia della Crociata), che nella stessa Chiesa contemporanea che ha sviluppato con l’istituzione dei cappellani militari, attivi e intrepidi in ogni guerra del ’900, una paterna presenza accanto ai militi di tutte le bandiere. La virtù di fortezza è un dono dello Spirito Santo conferito al cristiano nel momento della Cresima, dono che lo rende davvero un soldato di Cristo, apostolo e militante della causa cattolica.

La debolezza al contrario, se non è peccato, porta al peccato, alla rinuncia, alla mediocrità e alla pigrizia spirituale. Per ricordare tutto questo, una piccola e coraggiosa casa editrice ha appena ripubblicato un libretto di grande valore (S. Riva, Piccolo catechismo del soldato, ed. Amicizia Cristiana, Chieti, 2009. Si può richiedere al tel. 0871.63210) uscito per la prima volta nel 1940 (con l’apposito imprimatur ecclesiastico) e destinato ad incoraggiare i soldati italiani al fronte nell’amore dell’Italia e della Fede cristiana.

CR n.1108 del 12/9/2009

http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1027&catid=31

sabato 29 agosto 2009

CHIESA CATTOLICA: disputa anti-protestante

Anche il teatro, come tutte le forme alte di cultura, ha avuto una rinascita e un’insigne fioritura, dopo l’aureo periodo classico, nel medioevo cristiano, grazie in particolare allo zelo e alla finezza intellettuale degli ordini religiosi europei. Nella Controriforma poi esso divenne uno strumento diffusissimo nella pedagogia e nell’educazione della gioventù di tante congregazioni nuove come i Somaschi, gli Scolopi e i Gesuiti.

San Giovanni Bosco († 1888) immortale educatore piemontese, fondatore religioso e apostolo degli umili, fu anche, ed è cosa meno nota, scrittore fecondo e brillante polemista. Purtroppo se abbondano, soprattutto nelle edizioni e nelle librerie salesiane, i libri e le analisi sul gran santo ottocentesco, sono quasi completamente assenti da alcuni decenni a questa parte gli scritti preziosissimi di don Bosco, e questa lacuna ci pare non del tutto casuale. Grande merito costituisce dunque la ripubblicazione di una breve e gustosissima pièce teatrale finita nel dimenticatoio, vero capolavoro di sintesi e di dottrina, ma assolutamente attuale, certamente da riscoprire e magari da riproporre nelle scuole (Giovanni Bosco, Una disputa tra un avvocato e un ministro protestante, edizione Amicizia Cristiana, 2009, 5 euro).

Si tratta di un piccolo dramma in 2 atti, scritto da don Bosco nel 1853 sulla base di «un tessuto di fatti egualmente storici» (p. 5), utilizzati a fini sanamente apologetici e divulgativi, soprattutto per le necessità formative dei giovani del suo Oratorio (che rappresentarono il testo più volte) e del popolo incolto, aggredito dalla propaganda valdese e protestante.

La storia è semplicissima e gustosa. Nel primo atto parla di Alessandro, un cattolico che per ragioni economiche e di convenienza è passato all’eresia, il quale tenta in ogni modo di obbligare il figlio Luigi alla medesima scelta, provocandone la fuga. Provvidenzialmente sul suo cammino incontrerà Ferdinando un buon cristiano che lo aiuterà a tornare sui suoi passi, soprattutto organizzando una vera e propria disputa (descritta nel secondo atto) tra Roberto, un avvocato fedele, e Golan, un ministro protestante. La disputa, con parole facili e ben calibrate, mostrerà al lettore e al fruitore del dramma, l’inconsistenza di tutte le accuse portate alla fede, e si concluderà con il solerte ripiego della parte eretica.

Essendo la vera Chiesa necessariamente “una, santa, cattolica e apostolica”, Roberto (don Bosco) farà notare nella disputa come «la Chiesa Riformata non è una; perché essendo ciascuno libero di interpretare la Bibbia ne derivano tante religioni quante sono le teste dei riformati. Nemmeno è santa: imperciocché nella Chiesa Riformata si rigettano ora tutti, ora la maggior parte dei sacramenti istituiti da Gesù Cristo. Nemmeno la Chiesa Riformata può dimostrare la sua santità con qualche miracolo operato in conferma della nuova Riforma […]. Tanto meno la Chiesa Riformata si può chiamare cattolica ed apostolica, poiché non insegna la dottrina degli Apostoli, non può mostrare alcun successore del capo stabilito da Gesù Cristo a governare la sua Chiesa» (pp. 58-59). Tutto è detto. E se i cattolici di oggi, seguendo i loro maestri del passato, si mettessero a scrivere nuove operette teatrali per confutare gli attuali errori religiosi, partendo magari dal più pernicioso di tutti che è senza dubbio il modernismo?

CR n.1106 del 29/8/2009

http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1020&catid=7

venerdì 3 luglio 2009

L’irripetibile esperienza di un’alba liturgica all’abbazia di Fontgombault

Il tema della liturgia costituisce un importante filo conduttore dell’itinerario intellettuale e spirituale di Joseph Ratzinger. Fin dal 2001, in un’intervista a “La Croix”, il cardinale Ratzinger definiva la liturgia come il frutto di una riflessione di cinquant’anni in cui si ritrova tutto il suo percorso spirituale.

Non a caso il primo volume in tedesco dell’Opera omnia di Benedetto XVI (2008) è dedicato agli scritti liturgici e si apre con una prefazione in cui il Papa ricorda come la liturgia della chiesa, vista nei suoi rapporti con la teologia, abbia costituito l’attività centrale della sua vita.

Lo stesso anno sacerdotale, aperto il 19 giugno di quest’anno, vede al suo centro la celebrazione dell’Eucaristia e l’Eucaristia è il centro dell’azione liturgica. In questo senso il motu proprio Summorum pontificum del 14 settembre 2007, con cui il Papa ha concesso la piena libertà di celebrare la liturgia tradizionale costituisce un evento di straordinaria portata. L’avversione al motu proprio pontificio è il principale punto di coagulo del partito “antiratzingeriano”, mentre è proprio a partire dalla difesa del Rito romano antico che si sviluppa la reazione del nuovo “partito romano” sceso in campo negli ultimi anni per riaffermare il
valore immutabile della Tradizione.

E’ su questo sfondo che va situata la pubblicazione anche in Italia del libro di Martin Mosebach, “Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico” (Cantagalli, Siena 2009), con traduzione e prefazione di Leonardo Allodi. Mosebach è un romanziere e saggista tedesco da anni interessato alla liturgia e ben conosciuto dallo stesso Pontefice. Peter Seewald, nel suo colloquio con l’allora cardinale Ratzinger, “Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio” (San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001), ricorda un poetico passo in cui lo scrittore tedesco descrive la celebrazione di una Messa tradizionale in una desolata cappella di Capri che pare trasfigurarsi quando il sacerdote la “risacralizza” con i suoi gesti e con il suo rito. Questo brano è contenuto, assieme ad altri, nel libro ora pubblicato, il cui significativo titolo rimanda a quella che Dom Prosper Guéranger, il restauratore della liturgia romana nel XIX secolo, definiva l’“eresia antiliturgica”.

Secondo il grande abate di Solesmes “soltanto dove c’è qualcosa da demolire il genio della distruzione cercherà di introdurre veleno” (“L’eresia antiliturgica e la riforma protestante”, Amicizia Cristiana, Chieti, 2008, p. 14). I distruttori del XX secolo sono gli autori di una riforma liturgica che ha provocato una delle fratture più rivoluzionarie del secolo scorso, paragonata da Mosebach alla guerra iconoclasta di Bisanzio. “Vorrei sentire volentieri sulla bocca di un amico della riforma una volta la seguente ammissione – egli scrive – e cioè che mai nella storia della chiesa fino a Papa Paolo VI si sia osato porre in questione le seguenti caratteristiche fondamentali della liturgia tradizionale: la sacralità della lingua, la celebrazione della liturgia versus orientem, sacerdote e comunità insieme rivolti verso Cristo che risorge; infine la più importante: il carattere sacrificale
della celebrazione liturgica” (p. 225).

Tra la liturgia e la fede della chiesa esiste un nesso inscindibile secondo il principio Lex orandi, lex credendi. Al centro del Cristianesimo si trova il mistero dell’Incarnazione. Il messaggio cristiano si riassume in Gesù stesso, uomo-Dio, che promette ai suoi discepoli: “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”. Questa promessa riguarda una presenza reale, corporea, attraverso l’azione dello Spirito Santo nella liturgia. Si potrebbe dire che la Santa Messa è lo Spirito Santo promesso ai discepoli. “Gesù, la cui esistenza fisica costituiva il centro del suo messaggio, scrive Mosebach, continua a vivere in essa fisicamente, nell’imposizione delle mani, nell’unzione, nei corpi attraverso il pane e il vino” (p. 81).

Il rito è per sua natura immodificabile, perché è sottratto per sua essenza ad ogni modifica, dal momento che ogni intervento distrugge l’esperienza che non il celebrante del rito, ma Cristo stesso opera in esso. Con finezza psicologica Mosebach precisa: “E’ forse meno importante che il rito per secoli e secoli sia rimasto del tutto invariato piuttosto che esso sia stato percepito e vissuto dai partecipanti come appunto invariato” (p. 222). E’ impossibile infatti che una successione di parole e di gesti, anche se esattamente fissati in libri liturgici, sia rimasta invariata attraverso un lungo intervallo di tempo. Il rito, a partire dall’epoca della prima cristianità, non ci è giunto inalterato, perché è destinato a trasformarsi di continuo, impercettibilmente, nel corso dei secoli. Tali trasformazioni e graduali mutamenti non sono mai “riforme”, dal momento che dietro di esse non agisce l’intenzione di fare qualcosa di meglio. E nondimeno, spiega Mosebach, noi possiamo considerare l’antica Messa, a torto chiamata “tridentina” (la si potrebbe meglio definire come “gregoriana”) come immutata, sempre ugualmente offerta come dono dall’alto, dal momento che questi mutamenti erano qualcosa di involontario, intervenuto lentamente e in maniera così graduale che nessuno, quasi, se ne è accorto.

Oggi la Messa costituisce un’irripetibile esperienza, come quella che provocò la conversione di Paul Claudel, la notte di Natale del 1886 a Notre Dame. Bellissima è la descrizione di quanto accade oggi all’alba nell’abbazia benedettina di Fontgombault. E’ buio e la chiesa è vuota, quando un corteo di monaci lascia la sacrestia. Avanzando lungo la navata, il corteo si divide. Davanti a ogni pilone è un altare dove restano un sacerdote e un ministrante, fino a che tutti i dodici altari sono stati occupati. “Chi si mette dietro, al centro della navata della chiesa – scrive Mosebach – ha davanti a sé un’immagine unica. La Messa, che di solito riempie il centro di una chiesa, appare qui di colpo onnipresente, come per un gioco di molteplici riflessi. La prospettiva dello spazio che finisce nel coro è popolata da sacerdoti che celebrano da soli, ciascuno dei quali, con ognuno dei suoi gesti solenni, con l’elevazione delle mani, gli atti di riverenza e le genuflessioni, pretende di fare qualcosa di particolare. Nessun muro, nessuna colonna dove non abbia luogo un sacrificio” (pp. 109-110). Oggi si è rinunciato alla pluralità di messe in nome di una “concelebrazione” che dovrebbe esprimere la dimensione comunitaria della chiesa. Ma quando una molteplicità di sacerdoti celebrano allo stesso tempo un unico rito, essi privano la chiesa e i fedeli del valore infinito di innumerevoli Messe celebrate in altari diversi nella stessa giornata.

A Davide Cantagalli vorremmo suggerire la pubblicazione degli Atti del colloquio, presieduto dal cardinale Ratzinger, che si tenne nel luglio 2001 all’abbazia di Fontgombault sul tema “Autour de la question liturgique”. La liturgia, disse in quell’occasione il cardinale, non deve essere il terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche. Essa trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi pretendiamo farne.

(Roberto de Mattei su "Il Foglio" del 3/07/09)

http://www.corrispondenzaromana.it/benedetto-xvi/l-irripetibile-esperienza-di-un-alba-liturgica-all-abbazia-di-fontgombault.html

sabato 2 maggio 2009

RECENSIONI LIBRARIE: la letteratura devota di san Giovanni Bosco

San Giovanni Bosco (1815-1888), fondatore della Congregazione dei Salesiani, pubblicò numerose opere rivolte al popolo e ai giovani per divulgare la dottrina cattolica. In molte di esse Don Bosco attinse ai temi tradizionali dell’apologetica della Chiesa, in particolare per contrastare la penetrazione dell’eresia protestante in Italia, favorita dagli ambienti liberali fautori del Risorgimento.

A Torino il Santo aveva frequentato il “Convitto Ecclesiastico” di san Giuseppe Cafasso, dove non si era persa l’eredità delle “Amicizie” del ven. Pio Bruno Lanteri, la cui azione era protesa alla diffusione della buona stampa cattolica contro gli errori del tempo. L’oratorio salesiano di Valdocco, dove fu poi costruita la chiesa in onore di Maria “Auxilium Christianorum”, divenne il punto di riferimento dei cattolici antiliberali della città, tra cui una delle più importanti benefattrici di Don Bosco, la vandeana Giulia Colbert, Marchesa di Barolo.

Nel 1853, con l’aiuto di mons. Moreno, vescovo di Ivrea, appartenente all’ala intransigente dell’episcopato, Don Bosco iniziò la pubblicazione delle “Lettere Cattoliche”, efficace mezzo di istruzione popolare, edificante e devota, che avranno un’altissima tiratura di copie in tutta Italia. L’operetta teatrale Una disputa tra un avvocato ed un ministro protestante (Giovanni Bosco, Una disputa tra un avvocato ed un ministro protestante, Amicizia Cristiana, Chieti 2009, pp. 64, € 5,00) rientra in questo genere di letteratura; nel breve lavoro Don Bosco, in modo divertente, illustra le «note della Chiesa», mette in berlina i ministri protestanti e smaschera i mezzi di corruzione da essi utilizzati per adescare nuovi adepti.

Durante le famose «passeggiate autunnali» nelle parrocchie piemontesi, la popolazione attendeva con impazienza la recita di queste operette da parte degli alunni di Don Bosco nei teatri comunali.

Sia pure non eccelso dal punto di vista letterario e dichiaratamente didascalico, il testo è però capace di mettere in scena, senza mai annoiare, una disquisizione teologica, fornendo gli spettatori di utili strumenti per la propaganda dottrinaria. Inoltre si avvale di una cornice interessante e presa da un caso realmente accaduto: la conversione, ottenuta mediante la promessa di aiuti economici, di un disoccupato e quindi la richiesta, dietro minaccia di sospensione degli emolumenti, di una conversione estesa all’intera famiglia, che scatena l’ira violenta del disoccupato – ormai abituatosi a ricevere un sostegno economico (e a consumarlo all’osteria) senza dover lavorare – nei confronti di moglie e figli, per nulla disposti a mutare credo religioso.

CR n.1090 del 2/5/2009

http://www.corrispondenzaromana.it/recensioni-librarie/recensioni-librarie-la-letteratura-devota-di-san-giovanni-bosco.html

sabato 7 febbraio 2009

RECENSIONI LIBRARIE: il “combattimento spirituale”

Il Servo di Dio Lorenzo da Otranto, al secolo Francesco Scupoli (1529-1610), assunse tardi, verso i quarant’anni, l’abito ecclesiastico, entrando in un ordine, quello dei Chierici Regolari fondato da san Gaetano da Thiene, votato alla lotta contro la Riforma luterana. Il suo più importante lavoro è il Combattimento spirituale (Lorenzo Scupoli, Il combattimento spirituale, Amicizia Cristiana, Chieti 2007, pp. 160, € 9), opera che fu spinto a scrivere da sant’Andrea Avellino e che san Francesco di Sales amava a tal punto da definirla «dopo Dio, il mio direttore spirituale».

Ai suoi tempi il Combattimento ebbe gran successo: l’opera uscì anonima nel 1589, fu più volte ristampata, ma solo dopo una ventina di anni venne pubblicata con l’indicazione del suo autore. Forse non è casuale che padre Scupoli sia nato nella martoriata terra di Otranto, testimone del peggior massacro islamico in Italia: l’impostazione del Combattimento spirituale è infatti interamente poggiata su forti metafore militari.


Non basta operare una tattica “difensiva”, basata su rinunce e preghiere (elemento necessario, ma non sufficiente): bisogna anche sconfiggere i vizi e le inclinazioni perverse che quotidianamente ci assediano. Affascinanti sono le immagini utilizzate da Lorenzo da Otranto: un esercito schierato in campo di battaglia comandato da Gesù e che vede a lato dei combattenti la Vergine Maria, san Giuseppe e innumerevoli santi ed angeli con in testa san Michele; di fronte un manipolo guidato da Satana che cerca di eccitare nel nostro cuore la passione a cui siamo più soggetti. Una volta preparati alla battaglia, perfettamente consci della lotta che si deve portare alle proprie insane passioni, le armi sono quelle della preghiera, della meditazione, della frequenza dei sacramenti (particolare attenzione viene riservata all’Eucaristia).

Per comprendere l’attualità di questo volume baserà riportare il giudizio che ne dette san Francesco di Sales: «Non lo si può leggere senza restarne edificati: chiunque saprà servirsene diverrà ben presto un uomo di alta spiritualità e imparerà a distaccarsi dalle creature per unirsi al Creatore».

CR n.1078 del 7/2/2009

http://www.corrispondenzaromana.it/recensioni-librarie/recensioni-librarie-il-combattimento-spirituale.html

Il combattimento spirituale (Corrispondenza Romana n.1078 del 7/2/2009)

Il Servo di Dio Lorenzo da Otranto, al secolo Francesco Scupoli (1529-1610), assunse tardi, verso i quarant’anni, l’abito ecclesiastico, entrando in un ordine, quello dei Chierici Regolari fondato da san Gaetano da Thiene, votato alla lotta contro la Riforma luterana. Il suo più importante lavoro è il Combattimento spirituale (Lorenzo Scupoli, Il combattimento spirituale, Amicizia Cristiana, Chieti 2007, pp. 160, € 9), opera che fu spinto a scrivere da sant’Andrea Avellino e che san Francesco di Sales amava a tal punto da definirla «dopo Dio, il mio direttore spirituale».

Ai suoi tempi il Combattimento ebbe gran successo: l’opera uscì anonima nel 1589, fu più volte ristampata, ma solo dopo una ventina di anni venne pubblicata con l’indicazione del suo autore. Forse non è casuale che padre Scupoli sia nato nella martoriata terra di Otranto, testimone del peggior massacro islamico in Italia: l’impostazione del Combattimento spirituale è infatti interamente poggiata su forti metafore militari.


Non basta operare una tattica “difensiva”, basata su rinunce e preghiere (elemento necessario, ma non sufficiente): bisogna anche sconfiggere i vizi e le inclinazioni perverse che quotidianamente ci assediano. Affascinanti sono le immagini utilizzate da Lorenzo da Otranto: un esercito schierato in campo di battaglia comandato da Gesù e che vede a lato dei combattenti la Vergine Maria, san Giuseppe e innumerevoli santi ed angeli con in testa san Michele; di fronte un manipolo guidato da Satana che cerca di eccitare nel nostro cuore la passione a cui siamo più soggetti. Una volta preparati alla battaglia, perfettamente consci della lotta che si deve portare alle proprie insane passioni, le armi sono quelle della preghiera, della meditazione, della frequenza dei sacramenti (particolare attenzione viene riservata all’Eucaristia).

Per comprendere l’attualità di questo volume baserà riportare il giudizio che ne dette san Francesco di Sales: «Non lo si può leggere senza restarne edificati: chiunque saprà servirsene diverrà ben presto un uomo di alta spiritualità e imparerà a distaccarsi dalle creature per unirsi al Creatore».

CR n.1078 del 7/2/2009

http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=767&catid=31