domenica 10 ottobre 2010

LAVORARE E SACRIFICARSI PER LA GLORIA DI MARIA (Toscana Oggi, 10/10/2010)

Nato a Roma nel 1901, Roberto Ronca diventò prete nel 1928, e dal 1933 al 1948 fu rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore. Molto attivo nel settore dell’assistenza sociale e in quello dell’impegno civile e politico dei cattolici, Ronca venne consacrato vescovo e dal 1948 al 1955 il Papa gli affidò la Prelatura del Santuario di Pompei. A quel periodo risale anche la fondazione da lui realizzata degli Oblati e delle Oblate della Madonna del Rosario, testimonianza evidente della profonda e ardente pietà mariana che lo caratterizzò per tutta la vita. Ronca partecipò al Concilio Vaticano II e per quattordici anni, fino al 1976, occupò il posto di Ispettore Capo dei Cappellani delle carceri italiane. Morì il 25 settembre 1977, scandendo il nome della Vergine Maria.
Sulla personalità di questo vescovo saldamente legato alla Tradizione cattolica si sono soffermati studiosi del calibro del compianto cardinale Pietro Palazzini, di monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Castellaneta, e del professor Andrea Riccardi. Negli ultimi anni, un’attenzione particolare è stata dedicata alla figura e all’opera di Ronca da Giuseppe Brienza, storico attento e rigoroso, che, recentemente, ha curato una nuova edizione della prima lettera pastorale scritta da Ronca, recante la data del 5 agosto 1948 (Lavorare e sacrificarsi per la gloria di Maria, Edizioni Amicizia Cristiana, pp. 44, euro 5).
Animato da zelo vivissimo, il giovane vescovo si rivolge con amore alla sua chiesa, scrivendo tra l’altro: «Imitiamo dunque Maria innanzitutto nella sua carità verso Dio e verso il prossimo. Maria Santissima ci sia di esempio e di aiuto nell’amare il Signore con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze, perché questo è il primo dei comandamenti. Maria santissima ci sia di esempio e di aiuto nell’amarci gli uni con gli altri, perché questo comandamento è simile al primo».

lo SCAFFALE di Maurizio Schoepflin
TOSCANA OGGI, 10 ottobre 2010, p. 14

mercoledì 14 luglio 2010

"La storia di monsignor Roberto Ronca" di Omar Ebrahime (ZENIT, 14/07/2010)

Salvò ebrei e antifascisti, aiutò a sconfiggere il comunismo

La storia di monsignor Roberto Ronca

di Omar Ebrahime



ROMA, mercoledì, 14 luglio 2010 (ZENIT.org).- Nell'immediato dopoguerra, l'Italia si trovò a fronteggiare concretamente la minaccia socialcomunista: le elezioni del 18 aprile 1948, le prime dopo l'immane conflitto della seconda guerra mondiale, segnarono una vera e propria battaglia di civiltà fra due idee dell'uomo e del mondo profondamente antitetiche. Da una parte il mondo occidentale, libero e cristiano, dall'altra il mondo socialcomunista che serviva Mosca, rappresentato dal Fronte Popolare d’unione fra il PCI e il PSI.

In quell'occasione la Democrazia Cristiana vinse con la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi (caso unico nella storia della Repubblica) inaugurando così quella che sarebbe stata una lunga stagione di governo. Quello che forse pochi sanno è che la vittoria fu dovuta a un grandioso sforzo di mobilitazione popolare suscitato, fra gli altri, da due uomini: Luigi Gedda (1902-2000), vicepresidente di Azione Cattolica e ideatore dei Comitati Civici e monsignor Roberto Ronca (1901-1977), già rettore del Pontificio Seminario Maggiore a Roma, fondatore e instancabile direttore del movimento civico-politico cattolico e anticomunista “Unione Nazionale Civiltà Italica” (1946-1955).

Un movimento contraddistintosi per aver scelto pubblicamente come proprio vessillo il tricolore, nonché per un'omonima rivista che per anni rappresentò, di fatto, l'unico strumento d'informazione e formazione cattolica e anti-comunista esistente nel nostro Paese. Monsignor Ronca fu anche protagonista di una grandiosa opera di salvataggio per ebrei e antifascisti che si rifugiarono nel Seminario Maggiore nei mesi tremendi dall’ottobre del 1943 fino alla liberazione in cui i nazisti avevano occupato Roma.

Proprio la figura di Ronca viene opportunamente rievocata in questi giorni con un agile libretto in uscita nelle librerie a cura del giornalista e storico cattolico Giuseppe Brienza che raccoglie la prima lettera pastorale del futuro Vescovo di Pompei, uomo di fiducia di Pio XII (Roberto Ronca, Lavorare e sacrificarsi per la gloria di Maria, Edizioni Amicizia Cristiana, Chieti 2010, http://www.edizioniamiciziacristiana.it/).

Il documento, pubblicato per la prima volta a livello nazionale, uscì originariamente il 5 agosto 1948 e rappresentò una coraggiosa testimonianza di militanza cristiana, anticipando con il suo aperto ripudio delle “dottrine false e sovvertitrici”, il decreto di scomunica ai comunisti emesso il 1° luglio 1949 dall’allora Congregazione del Sant'Uffizio.

La Lettera si apre con una dichiarazione di amore filiale verso la Madonna, “Regina delle Vittorie” (il titolo di cui la Madre di Dio fu insignita dopo la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani, avvenuta nel 1571) e da un “omaggio devoto al Padre comune”, il Sommo Pontefice Pio XII, Vicario di Cristo in terra. Così facendo mons. Ronca mostrava ai suoi fedeli il vero senso della vita cristiana che, fondata sull'Eucaristia, trova i suoi restanti fondamenti nella devozione mariana, che in alcuni accenti sembra ripercorrere la migliore tradizione cattolica (così nelle citazioni di San Bernardo di Chiaravalle), e nell'obbedienza convinta al Papa e al suo Magistero.

Se l'obiettivo del cristiano è quello di instaurare il “Regno di Cristo”, la strada più sicura passa per l'imitazione quotidiana di Maria, Maestra di Fede e Vincitrice di tutte le eresie. Il Rosario, la 'catena' prediletta di Maria, diventa allora il mezzo più prezioso per la santificazione individuale, familiare e sociale secondo l'amato insegnamento del fondatore stesso del Santuario di Pompei, il futuro Beato Bartolo Longo (1841-1926).

Ma la Lettera permette di apprezzare anche le qualità di predicatore, di animatore culturale e persino di profeta di mons. Ronca che seppe prevedere, con lucido sguardo, le conseguenze nefaste che la “scelta religiosa” (e anti-politica) dell'Azione Cattolica avrebbe di lì a poco determinato sull'intero laicato del Paese.

http://www.zenit.org/article-23179?l=italian







Roberto Ronca
LAVORARE E SACRIFICARSI PER LA GLORIA DI MARIA
Presentazione, note fra parentesi quadra e bibliografia
a cura di Giuseppe Brienza
Edizioni Amicizia Cristiana
[ISBN-978-88-89757-34-5]
Pag. 48 - € 5,00

http://www.edizioniamiciziacristiana.it/lavorareesacrificarsi.htm

mercoledì 19 maggio 2010

Novità: LAVORARE E SACRIFICARSI PER LA GLORIA DI MARIA

Un anno prima del decreto di “scomunica ai comunisti” del 1° luglio 1949 della Congregazione del Sant'Uffizio, ora chiamata Congregazione per la Dottrina della Fede, il neo-nominato Prelato-arcivescovo di Pompei, Mons. Roberto Ronca, nella sua prima lettera pastorale del 5 agosto 1948, che qui si riproduce con annotazioni e integrazioni storico-bibliografiche, così implorava i fedeli di pregare per coloro che, abbracciando il comunismo, con ciò abbandonavano la Fede ereditata dai padri: «Piangete con me questi figli e fratelli sventurati e con me impetrate per loro la grazia che, ripudiando dottrine false e sovvertitrici, ritornino presto alla vera luce, all’amore dei figli di Dio, alla casa della Madre, la Regina del SS. Rosario!»

Roberto Ronca, nato a Roma nel 1901, dopo una laurea in Ingegneria, entra nel Pontificio Seminario Romano Maggiore ed è qui ordinato sacerdote nel 1928. Dal 1933 al 1948 è rettore dello stesso Seminario lateranense e, negli anni della seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca di Roma, ospita negli edifici extra-territoriali vaticani ogni tipo di perseguitati. Nel 1944 fonda l’associazione di assistenza sociale “Aiuto Cristiano” mentre nel dopoguerra, rispondendo alle preoccupazioni di Pio XII riguardo alla costruzione della “nuova Italia”, promuove la fondazione e dirige per un decennio (1946-1955) l’“Unione Nazionale Civiltà Italica”, movimento civico-politico cattolico e anti-comunista. Subito dopo la vittoria elettorale del 18 aprile 1948, cui contribuisce efficacemente, è elevato alla dignità vescovile e, nel 1949, fonda la congregazione religiosa, nei suoi due rami maschile e femminile, degli Oblati e delle Oblate della Madonna del Rosario. Dal 1948 al 1955 è Prelato del Santuario di Pompei (Napoli). Partecipa al Concilio Vaticano II nella “Commissione per la disciplina del clero e del popolo cristiano” e, dal 1962 al 1976, è Ispettore Capo dei Cappellani delle Carceri Italiane. Muore Il 25 settembre 1977 scandendo il nome della Vergine Maria.


Roberto Ronca
LAVORARE E SACRIFICARSI
PER LA GLORIA DI MARIA

Presentazione, note fra parentesi quadra e bibliografia
a cura di Giuseppe Brienza
Edizioni Amicizia Cristiana
[ISBN-978-88-89757-34-5]
Pag. 48 - € 5,00

http://www.edizioniamiciziacristiana.it/lavorareesacrificarsi.htm

venerdì 12 febbraio 2010

RECENSIONI LIBRARIE: un saggio per Fogazzaro (Corrispondenza romana)

La casa editrice “Amicizia Cristiana”, che si ispira all’eredità dottrinale contro-rivoluzionaria del venerabile Pio Brunone Lanteri, ha ripubblicato un breve saggio dedicato al romanziere filo-modernista Antonio Fogazzaro (1842-1911) il quale, al di là della peculiare vicenda storica e biografica, e dell’aspra polemica religiosa che lo vide protagonista, è importante per la grande somiglianza che presenta con molte altre figure di cattolici progressisti del XX e del XXI secolo (A. Cavallanti, Antonio Fogazzaro nei suoi scritti e nella sua propaganda, Chieti, 2008, 5 euro).

Nato nel cremonese e ordinato sacerdote a soli 21 anni nel 1902, padre Alessandro si occupò da subito di giornalismo collaborando a varie gazzette dell’intransigenza cattolica, assumendo poi la direzione dell’“Unità Cattolica” nel 1909. Fu amico dei padri Mattiussi e de Thot ed ebbe sempre appoggi in Curia, per esempio dai cardinali Gennari e De Lai. Fondò gli Opuscoli Popolari Antimodernisti, collana in cui pubblicò il presente saggio (approvato dall’arcivescovo di Firenze e stampato in 10.000 copie), oltre a molteplici analoghi pamphlet. Collaborò anche alla “Sentinella antimodernista” e alla “Squilla”. Anti-murriano convinto e opposto alla cosiddetta stampa di penetrazione, nel 1913 sull’“Unità” scrisse il “Programma integrale dei cattolici papali”, in cui si opponeva – assieme alla corrente che militava apertamente per le posizioni espresse da san Pio X nell’enciclica Pascendi – al liberalismo in tutte le sue forme e accezioni, incluso l’incauto “liberalismo cattolico”. Allo scoppio della Grande Guerra p. Cavallanti fu nominato cappellano delle truppe di marina e morì a causa di un incidente ferroviario.

Il merito della riproposizione dell’opuscolo di padre Cavallanti sta già tutto nell’omaggio che i cattolici di oggi debbono rendere a quelle figure, a volte misconosciute o cancellate dalla memoria, che combatterono a suo tempo la buona battaglia, soprattutto contribuendo allo sviluppo del cosiddetto movimento cattolico, sorto sotto gli auspici del beato Pio IX e dedito a contrapporre ai laicisti di allora la fede, la morale e la tradizione dei padri. Il nostro critico dunque passa in rassegna brevemente le principali opere del celebre autore veneto: da Malombra (1881) a Daniele Cortis (1885), dal Piccolo mondo antico (1899) al Piccolo mondo moderno (1901), tutti contenenti alcune pagine di dubbia moralità, concentrandosi soprattutto sul romanzo-programma, di chiaro tenore modernista, Il santo (1905), messo all’indice nel 1906. Il Tyrrell capofila del modernismo nel mondo anglosassone lo definì “il romanzo del movimento”.

Il libro fu lodato e magnificato da padre Semeria e da Romolo Murri, da Salvatore Minocchi, Gallarati Scotti e Buonaiuti, mentre fu avversato o almeno criticato dalle riviste intransigenti, dalla Civiltà Cattolica e in generale dall’episcopato.

Dopo la condanna pontificia Fogazzaro dichiarò pubblicamente di sottomettersi, facendo bella figura. Però, solo alcuni mesi dopo, esattamente il 18 gennaio 1907, andò a Parigi e tenne una conferenza presso l’ “Ecole des Hautes Etudes”, subito pubblicata nella rivista conciliarista Il Rinnovamento. In essa, parlando di un personaggio assai ambiguo del romanzo Il santo, in cui vedeva la speranza della Chiesa, Fogazzaro disse ai suoi “buoni intenditori”: «Giovanni Selva appartiene al mondo della realtà quanto voi ed io. Gli ho posto uno pseudonimo e adesso sto per smascherarlo, la prima volta, davanti a voi. Il suo nome vero è Legione. Egli vive, pensa e lavora in Francia, in Inghilterra, in Germania, in America come in Italia. Porta la tonaca e l’uniforme come l’abito di società. Si mostra nelle Università, si nasconde nei Seminari. Lotta nella stampa, prega nell’ombra dei monasteri. Non predica quasi più, ma tiene ancora delle conferenze. E’ esegeta e storico, teologo e dotto, giornalista e poeta… Egli si crede una energia vitale del seno della Chiesa Romana, di quell’organismo colossale del quale si dice nel mondo che ha l’arterie ossificate dalla vecchiezza, che ha perduto la facoltà di adattarsi all’ambiente e che è colpito d’atassia» (pp. 35-36).

http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1172&catid=31

martedì 5 gennaio 2010

Il Bollettino Salesiano - Gennaio 2010

UNA DISPUTA TRA UN AVVOCATO ED UN MINISTRO PROTESTANTE
Torino, Tip. diretta da P. De Agostini, 1853 (Letture Cattoliche, anno I, fase. XIX, dicembre). (OP. ED. V, pagg. 101 ss.). Due atti.

Nel 1848 re Carlo Alberto riconosce a protestanti ed ebrei parità di diritti civili, compreso quello di far proselitismo. I Valdesi lanciano subito una forte campagna: giornali, conferenze, aiuti in denaro, ecc. La gente povera, compresi molti ragazzi di Don Bosco, ne erano ‘accalappiati’. Don Bosco capì il pericolo e fece stampare gli “Avvisi ai Cattolici” mettendo in guardia. Le “Letture Cattoliche” prendono l’avvio in questo clima e per questo scopo; libretti agili e di facile lettura, stampati in migliaia di copie. Questa iniziativa editoriale incontrò un successo straordinario, sebbene avesse avuto non pochi problemi all’inizio: nessun vescovo era disposto all’approvazione ecclesiastica (“cosa pericolosa lanciarsi in battaglia coi protestanti”), tranne, dopo reiterate insistenze, il vescovo di Ivrea. Don Bosco più volte aveva respinto lusinghe e tentativi di corruzione e… attentati. Chi lo difese fu il suo “angelo custode”, il “Grigio”, un cane che sbucava all’improvviso, non si sa da dove. Per comunicare ciò che più gli stava a cuore, Don Bosco si avvaleva del teatro. Ecco, allora, nascere questo dramma con la precisa intenzione di mettere in guardia i suoi giovani.

INTERLOCUTORI: Roberto, avvocato; Testadoro, calzolaio e portinaio; Ferdinando, padrone di casa; Isidoro, di lui amico; Alessandro, apostata e padre di Luigi; Gozan, ministro protestante; Vatson e Milner, viceministri; Ermanno e Bernetti, discepoli di Gozan.
SCENA: Il primo atto è rappresentato nell'atrio della casa del signor Ferdinando. Il secondo in una sala del medesimo.
SOGGETTO: Un certo Alessandro Piatelli, per bisogno e per disperazione, si fece protestante e voleva pure obbligare tutta la famiglia a seguire il suo esempio. La moglie di lui e una sua figlia fuggirono di casa. Eravi ancora un ragazzetto di 14 anni, che il padre voleva pur costringere a farsi protestante. Il buon fanciullo per qualche tempo si schermì, finché trovandosi al punto di dover apostatare, fuggì di casa... Cel vedemmo a correre qui piangendo: ed appena lo potemmo condurre in salvo, sopraggiunse il padre con un grosso bastone in mano, tutto furibondo e minacciante morte al proprio figlio.
Io (Isidoro) e il signor Ferdinando ci siamo adoperati per calmarlo; e per riuscirvi l'abbiamo condotto in casa. Divenuto alquanto padrone di se stesso, assicurò che egli e molti altri suoi amici eransi fatti protestanti per convinzione, e che non avrebbero abbandonata tale religione finché non si fosse venuto ad una pubblica disputa, in cui si fosse discusso e provato che la religione cattolica fosse migliore del protestantesimo. Risi allora e voleva fargli ciò vedere con poche parole, ma quegli si rifiutò, adducendo che tale disputa voleva sentirla tra un cattolico ed un ministro protestante. Abbiamo aderito; egli tosto si recò dal sig. Gozan, pastore, il quale accettò bensì la sfida, ma ci pose per condizione assoluta che egli non voleva disputare con preti, né voleva che ci fossero preti ad ascoltare (Primo atto, scena IX, pagg. 30-31).

Dopo i preliminari di rito, la disputa, che avviene per buona parte del secondo atto, ha per tema l'identità della Chiesa Riformata come vera Chiesa fondata da Gesù Cristo.
L'avvocato Roberto, chiamato a sostenere la difesa della Chiesa Cattolica, non ha difficoltà a controbattere sostenendo che tra Gesù Cristo e Lutero intercorrono 1500 anni, in cui non si hanno tracce della Chiesa Riformata, che pure, se vera Chiesa, dovrebbe essere stata visibile: "Quindi i protestanti potranno dire di trovarsi nella Chiesa di Calvino e di Lutero, ma non mai in quella di Gesù Cristo" (Secondo atto, scena V, pag. 64). Non potendo obiettare molto di più, prima Gozan, poi gli altri due ministri che tentano di intervenire, sono costretti con molto impaccio, a lasciare la sala della disputa. Alessandro, che ha assistito al dibattito insieme al figlio Luigi, rimane fortemente colpito della forza delle argomentazioni cattoliche. Anzi l'avvocato Roberto aggiunge per completezza altri argomenti sul valore della Bibbia, sulle caratteristiche necessarie della vera Chiesa (una, santa, cattolica apostolica) che convincono definitivamente l'apostata ad abiurare e a riconciliarsi con la famiglia.
Il teatro si conclude con un tenero quadretto familiare.




PREMESSA AL TESTO SCRITTO



AL LETTORE. Le prove fatte dai figli che intervengono all'Oratorio di S. Francesco di Sales per rappresentare questo dramma e la soddisfazione dimostrata da quelli che trovaronsi presenti, fanno pensare che non debba riuscire discaro ai nostri lettori l'inserirlo in una dispensa delle Letture Cattoliche. I fatti che riguardano alla famiglia di Alessandro, sono storici; la disputa poi, è un tessuto di fatti ugualmente storici, ma altronde avvenuti, ed ivi collocati per uniformarmi alle regole del dramma.
In tutto quello che ivi si dice dei Protestanti, intendo escludere ogni allusione personale, avendo unicamente di mira la loro dottrina e gli errori in essa contenuti. Credo sia facile rappresentare questo dramma tanto nelle città, quanto nei paesi di campagna, e che, mentre la varietà e l'intreccio delle cose renderanno piacevole il trattenimento, l'errore verrà pure manifestato e la verità conosciuta a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime, e a decoro di nostra Santa Cattolica Religione.
Sac. Bosco Gioanni





RAPPRESENTAZIONI



Il successo del dramma è documentato da una testimonianza dello stesso Don Bosco. Nel 1874 scriveva un libriccino dal titolo "Massimino, ossia incontro di un giovanotto con un ministro protestante”. Nell'introduttivo "Cenno storico intorno a Massimino" leggiamo: "Ogni volta facevasi inaugurazione degli studi, distribuzione de' premi, promozioni, dialoghi e simili, Massimino faceva sempre la parte principale. Nel teatrino rappresentava con tal gusto e così bene, che non di rado era interrotto dagli applausi prolungati degli spettatori. Fra le opere sceniche da lui predilette era un dramma o commedia intitolata: “Disputa tra un avvocato ed un ministro protestante”. Più volte l'aveva veduta rappresentare; più volte ne fu attore, protagonista, talvolta caratterista, ed opponente; e conosceva tutte le parti così bene che non di rado diveniva attore e suggeritore" (Opere Edite, vol. XXV, p. 127). Ne deduciamo che tale lavoro fu rappresentato più e più volte nell'Oratorio, con tale interscambio di ruoli fra molti ragazzi che viene ancor più consolidata in noi l'idea non esibizionistica del teatro di Don Bosco, ma eminentemente formativa.




NOTE E COMMENTO



*) L'opera si pone con molta attualità nel clima religioso della Torino di metà Ottocento. Le lotte, il più delle volte aspre, tra Cattolici e Valdesi (e Don Bosco ne fece un'esperienza terrificante, subendo attentati alla vita e minacce di vario genere) disorientavano la massa del popolo e non pochi si lasciavano frastornare dalla veemenza degli scontri. La stesura di questo dramma, e ancor più la pubblicazione, obbedisce all'ansia apostolica e al coraggio di Don Bosco di trovarsi in prima fila nella battaglia per la vera religione.

*) La formula della "disputa" si rivela già all'origine, abbastanza spettacolare. In una battuta, Testadoro lo dichiara apertamente: "Questa sera vedrò anch'io un bel teatro: una disputa!” (ATTO SECONDO, scena III, pag. 36). L'attenta ed esperta sceneggiatura, poi, attanaglia ancor più l'attenzione degli spettatori, tanto da far esclamare ancora a Testadoro: "È un bel divertimento vedere queste dispute; parmi piuttosto un teatro che una discussione" (ATTO SECONDO, scena V, pag. 46). A rendere brillante la rappresentazione e gradevole l'ascolto c'è la presenza costante di Testadoro, il ciabattino-portinaio del padrone di casa, una sorte di arguto, burlesco popolano che commenta spiritosamente il susseguirsi degli avvenimenti.

*) Non mancano nel dramma sprazzi che, a distanza di oltre un secolo, conservano per noi caratteri di attualità. Innanzitutto il rapporto di gentile cortesia che viene usato nei confronti dei Protestanti, pur tuttavia in un insieme di fermezza dottrinale. L'opera rispecchia la consueta affabilità di Don Bosco nelle dispute con i Valdesi (ATTO SECONDO, scena V, pag. 46) e non erano certo quelli tempi di ecumenismo! Significativo è l'elogio alla correttezza dei Protestanti: "Devo ciò nonostante dire che trovai una coscienza leale in questi tre ministri" (*).
Di rilievo è anche la trovata di far rifiutare dai Protestanti la presenza di un prete cattolico come difensore, e di far assumere di buon grado la difesa a un laico, l'avvocato Roberto. Risalta qui la profonda fiducia e lungimiranza di Don Bosco nel laicato cattolico, in tempi di accentuato clericalismo. Che non sia un prete poi il difensore ufficiale della Chiesa cattolica induce, nella mente dei giovani, la convinzione che ognuno di loro dovesse essere in grado di prendere posizione personale dinanzi alla scelta della religione e non demandarla alla gerarchia.

*) II dramma è di chiara intonazione apologetico-catechistica. Non mancano quindi aspetti che ne appesantiscono lo svolgersi spettacolare. Innanzitutto alcune troppo lunghe 'tiritere' dell'avv. Roberto sugli errori dei Protestanti. In alcuni momenti vorrebbe addirittura continuare a tenere la parola a oltranza, ma l'esigenza del dialogo si impone e il discorso interrotto... finisce nelle note (a uso – ovviamente – del solo lettore; v. pag. 54). Nel telaio della sceneggiatura gli interventi affidati ai Protestanti sono di gran lunga inferiori per numero e di poco peso polemico. Sono sempre costretti alla difensiva e, infine, cedono talmente in fretta alle argomentazioni cattoliche e con grave impaccio che non resta loro se non l'abbandono della disputa. Sono considerazioni queste, ce ne rendiamo conto, che sebbene siano ritenute giuste dal punto di vista drammaturgico, tuttavia esulano dall'ambiente del tempo che non conosceva il dialogo ecumenico, la reciproca comprensione, l'attenzione alle altrui argomentazioni.

*) Il dramma ha un elevato peso culturale e riflette l’enciclopedica preparazione dell'autore sull'argomento. La ovvia padronanza della dottrina cattolica, ma ancor più l'approfondita conoscenza della dottrina protestante (vedi le continue note di riferimento ai testi dei maggiori esponenti della Riforma) risaltano evidenti, conferendo all'insieme un notevole impegno culturale e teologico. Le elevate ed elaborate forme di sillogismo sono tuttavia stemperate nella voluta semplicità del linguaggio.


INSERTO CULTURA
di Michele Novelli

http://www.sdb.org/bs/articolo.aspx?newsID=7920